La bolla by Curzio Maltese

La bolla by Curzio Maltese

autore:Curzio Maltese [Maltese, Curzio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


7.

La rabbia dei miti

Perché le vittime sono le ultime a ribellarsi? Uno pensa soprattutto ai giovani, quelli che già oggi pagano il conto del declino. L’Italia è diventata un paese per vecchi, vecchi egoisti, con un rapporto parassitario nei confronti delle nuove generazioni. Il settuagenario premier che flirta con una quasi bambina della periferia napoletana che vuol fare la velina e lo chiama “papi” il giorno del suo diciottesimo compleanno indigna la signora Veronica Lario, ma non il resto della nazione. Non è forse quello che fanno tutti? Vecchi baroni universitari che sfruttano selvaggiamente giovani assistenti. Imprenditori parassiti il cui unico modo di creare ricchezza consiste nel sottopagare giovani lavoratori precari. Cariatidi della politica, della tv, del giornalismo, delle professioni che usano ragazzi come “negri”, fattorini, portaborse, per poche centinaia di euro al mese, ben attenti a umiliare i più intelligenti, in modo da tagliare le gambe al talento da subito. I giovani sono i veri clandestini di questo paese. I peggio pagati d’Europa, i meno istruiti, i più discriminati in una società dove la mobilità sociale è quasi azzerata e il merito non conta nulla. La generazione del Settantasette, e non parliamo di quella del Sessantotto, al confronto è una banda di privilegiati viziati e rompiballe.

A vent’anni sono entrato in un giornale, “La Notte”, su segnalazione di un compagno di corso di giornalismo, Gianfranco Teotino, portando al direttore Nino Nutrizio, rispettabile fascistone, i ritagli di collaborazioni a “Lotta Continua”. E quello mi ha assunto, con uno stipendio che era il doppio di quanto guadagnavo in fabbrica. L’anno dopo mi ha preso il vecchio e meraviglioso Gino Palumbo alla “Gazzetta dello Sport” e sono passato al triplo, finché sono arrivato a “La Stampa” con direttore Gaetano Scardocchia, un galantuomo meridionale che si era fatto semplicemente mandare i ritagli degli articoli e li ha preferiti a quelli di un amico d’infanzia di un grande amico della famiglia Agnelli, fra la costernazione impotente dell’amministratore delegato. Ora vedo i giovani colleghi entrare con passo timido, contratto a termine e il salario di un metalmeccanico, già trentenni, quelli di sinistra nei giornali di sinistra, quelli di destra nei giornali di destra, oppure no, ma senza dirlo. La maggioranza dopo una lunga trafila di precariato, anticamere umilianti, frustranti sorpassi da parte di figli di papà imbecilli. Perché noi ci lamentavamo sempre? Perché questi di oggi mai?

E poi, un giorno d’autunno, la rivolta esplode. Ezio Mauro mi chiama al giornale e mi dice che bisogna passare la notte con gli studenti alla Sapienza occupata: “Vedrai che questo movimento dura, quindi bisogna trovargli un nome. Come la Pantera, gli indiani metropolitani... insomma, una cosa così”.

La Sapienza “okkupata” non assomiglia per nulla ai ricordi di un quasi cinquantenne, al fatidico 12 febbraio del ’77 che inaugurò il movimento con la cacciata di Luciano Lama, fra lacrimogeni, cariche della polizia e pioggia di molotov. Questa sembra un’occupazione di seminaristi. In giro, un gran silenzio. Si sentono echi di radiocronache di pallone, autoambulanze lontane, perfino un coro gregoriano che prova nella facoltà di Fisica.



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